Il valore della cultura
(Pro Archia, 12-16)
Nel 62 a.C., Cicerone prese le difese di un poeta greco, Archia, accusato da un tal Grazio, altrimenti ignoto, di aver usurpato la cittadinanza romana. Cicerone dedica poche battute alla questione propriamente giuridica, smontando facilmente le tesi dell’accusa, e si riserva invece un ampio spazio per celebrare il valore della cultura e della poesia.
Nel passo presentato egli rivendica con veemenza la legittimità dello studio della letteratura, quando però essa non porti ad un ritiro dalla vita pubblica. La cultura è anzi essenziale allo sviluppo di quelle doti che consentono poi all’individuo di giovare alla comunità. Quando una tale cultura si accompagni a un’indole naturalmente ben dotata, nasce la vera eccellenza; come al solito, gli esempi riportati sono romani: l’Emiliano, lelio, Furio (i personaggi più notevoli del circolo degli Scipioni) e Catone.
Mi chiedi, o Grazio, perché io frequenti così volentieri quest'uomo: perché è sempre disponibile, se solo ho tempo di rinfrancare l’animo dal questa confusione del foro e riposare un poco le orecchie, stanche del suo chiasso. O forse tu pensi che potremmo avere a disposizione abbondanza di argomenti per una tal varietà di cause, se non coltivassi il mio animo con lo studio? O pensi che il mio animo potrebbe sopportare una tale tensione, se con quello stesso studio non lo rilassassi?
Non ho certo problemi ad ammettere di essermi dedicato a questi studi; si vergognino gli altri, se si sono nascosti negli studi in modo da non portare nessun frutto alla collettività, senza produrre niente di notevole e illustre. Di che cosa dovrei vergognarmi io, giudici, che da tanti anni dedico la vita ai bisogni e ai vantaggi altrui, senza tenermi tempo né per il mio riposo, né per il mio piacere, e nemmeno per il mio sonno, che non mi hanno mai ritardato dai miei doveri?
Pertanto, chi potrebbe rimproverarmi, o a ragione arrabbiarsi con me, se prenderò per me stesso, per dedicarmi a questi studi, quel tempo che altri si concedono per i propri affari, per celebrare i giorni dei giochi, per gli altri piaceri e per riposare animo e corpo, quel tempo che alcuni dedicano a banchetti che cominciano prima del tramonto, o agiocare a dadi o a palla? E questo tempo bisogna concedermelo, tanto più che grazie a questi studi cresce anche la mia abilità oratoria, che, per quanta ce ne sia in me, non è mai mancata agli amici in difficoltà. E se a qualcuno pare che questa abilità sia cosa da poco, io so invece per certo da quale fonte attingere le cose davvero importanti.
Infatti, se non mi fossi persuaso fin dall’adolescenza, grazie ai precetti di molti e attraverso le molte letture, che nella vita non c’è nulla che valga sforzi e fatiche, se non la gloria e la virtù, e che nel ricercare questi valori bisogna non tenere conto di torture fisiche, rischio di morte e esilio, non mi sarei mai sottoposto, per salvare voi, a tante e tali lotte e a questi assalti quotidiani di uomini depravati. Ma i libri, le sentenze dei saggi, la tradizione, sono pieni di esempi: e tutta questa ricchezza giacerebbe nelle tenebre, se non intervenisse la luce della letteratura. Quante immagini di uomini eccezionali ci hanno lasciato gli scrittori, sia Greci che Latini, non solo perché le conoscessimo, ma soprattutto perché li imitassimo. E io sempre, nelle mie responsabilità di governo, tenendo questi esempi davanti agli occhi, conformavo ad essi il mio animo e la mia mente, riflettendo sulle vicende degli uomini illustri.
E qualcuno chiederà: «Dunque? Tutti quegli uomini illustri, di cui si celebra la virtù nei libri, furono intrisi di quella cultura, di cui tu ora tessi le lodi?». È difficile garantirlo di tutti, tuttavia son certo di quel che risponderei. Io ammetto che ci sono stati molti uomini straordinari e virtuosi, del tutto privi di cultura, per un’attitudine naturale quasi divina, e che sono stati temperati e autorevoli di per sé; e aggiungo anche questo: per ottenere gloria e virtù val di più una buona disposizione naturale senza cultura. Nondimeno affermo che, quando a un’indole eccellente e notevole si aggiunga anche una metodica formazione culturale e una conformazione dei comportamenti a tale cultura, allora di solito nasce qualcosa di straordinario e originale.
È da questo connubio che nacquero quell’uomo divino che fu l'Africano, che i vostri padri conobbero, e Lelio e Furio, uomini incredibilmente equilibrati e temperati; e il vecchio Catone, uomo eccellente e, per quei tempi, assai dotto: e se coloro avessero pensato che la letteratura non servisse in alcun modo ad ottenere e accrescere la virtù, allora certo non si sarebbero mai dedicati agli studi. Comunque, se da questo tipo di studi non scaturisse poi un frutto così nobile, ma si cercasse in esso solo il piacere, io penso che anche così dovreste giudicare questo divertimento perfettamente adatto a un uomo nobile e libero. Infatti gli altri diletti non sono sempre adeguati a tutte le circostanze, a tutte le età, a tutti i luoghi; mentre questi studi spronano gli adolescenti, dilettano gli anziani, abbelliscono i momenti di buona sorte, offrono sollievo e rifugio nelle avversità, portano gioia in casa, non sono inopportuni fuori, passano con noi la notte, stanno con noi a passeggio, vengono con noi in campagna.
Il segni dei privilegi dell’uomo
(De natura deorum, 2, 140-141 e 147-148)
Ad hanc providentiam naturae tam diligentem tamque sollertem adiungi multa possunt, e quibus intellegatur, quantae res hominibus a dis quamque eximiae tributae sint. Qui primum eos humo excitatos, celsos et erectos constituerunt, ut deorum cognitionem caelum intuentes capere possent. Sunt enim ex terra homines non ut incolae atque habitatores, sed quasi spectatores superarum rerum atque caelestium, quarum spectaculum ad nullum aliud genus animantium pertinet. Sensus autem interpretes ac nuntii rerum in capite tamquam in arce mirifice ad usus necessarios et facti et conlocati sunt. Nam oculi tamquam speculatores altissimum locum optinent, ex quo plurima conspicientes fungantur suo munere; [141] et aures, cum sonum percipere debeant, qui natura in sublime fertur, recte in altis corporum partibus collocatae sunt; itemque nares et, quod omnis odor ad supera fertur, recte sursum sunt et, quod cibi et potionis iudicium magnum earum est, non sine causa vicinitatem oris secutae sunt. Iam gustatus, qui sentire eorum, quibus vescimur, genera deberet, habitat in ea parte oris, qua esculentis et posculentis iter natura patefecit. Tactus autem toto corpore aequabiliter fusus est, ut omnes ictus omnesque minimos et frigoris et caloris adpulsus sentire possimus.
Iam vero animum ipsum mentemque hominis, rationem, consilium, prudentiam qui non divina cura perfecta esse perspicit, is his ipsis rebus mihi videtur carere. De quo dum disputarem, tuam mihi dari vellem, Cotta, eloquentiam. Quo enim tu illa modo diceres, quanta primum intellegentia, deinde consequentium rerum cum primis coniunctio et conprehensio esset in nobis; ex quo videlicet iudicamus, quid ex quibusque rebus efficiatur, idque ratione concludimus singulasque res definimus circumscripteque conplectimur, ex quo scientia intellegitur, quam vim habeat qualis[que] sit; qua ne in deo quidem est res ulla praestantior […]. Iam vero domina rerum, ut vos soletis dicere, eloquendi vis, quam est praeclara quamque divina. Quae primum efficit, ut et ea, quae ignoramus, discere et ea, quae scimus, alios docere possimus; deinde hac cohortamur, hac persuademus, hac consolamur adflictos, hac deducimus perterritos a timore, hac gestientes conprimimus, hac cupiditates iracundiasque restinguimus; haec nos iuris, legum, urbium societate devinxit, haec a vita inmani et fera segregavit.
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