martedì 26 gennaio 2010

L'Humanitas: da fragile scudo di fronte al destino a modello universale


Humanitas

Tidide magnanimo, perché mi chiedi la stirpe?
Come stirpi delle foglie, così sono anche le stirpi degli uomini.
Le foglie alcune il vento le getta a terra, ma altre le genera
La selva che fiorisce, quando giunge la stagione della primavera:
così le stirpi degli uomini: una nasce, l’altra scompare.
                                                                       (Omero, Iliade, 6, 145-149)

Noi, come le foglie che la stagione fiorita della primavera
Genera, qaundo germogliano ai raggi del sole,
simili a quelle godiamo per un tempo brevissimo
dei fiori della giovinezza,
senza conoscere dagli dèi, né il male
né il bene: ma sono già vicine le nere Chere…
                                                                       (Minnermo, fr.2 D)

Di tutte le cose misura è l’uomo: di quelle che esistono in quanto esistono e di quelle che non esistono in quanto non esistono.
                                                                       (Protagora, fr. 1 D.K.)

Molte sono le cose che suscitano meraviglia
Ma nessuna suscita più meraviglia dell’uomo
[].
E imparò per sé la parola, e il pensiero veloce come il vento
E le leggi del vivere civile
E a fuggire i colpi dei geli ospitali
E le piogge rovinose,
l’uomo ricco di risorse: non c’è nulla
nel futuro che lo trovi privo di mezzi.
Solo dalla morte
Non si procurerà scampo.
                                                                       (Sofocle, Antigone vv. 332 e s. e 368-375)

Il filosofo Talete era solito dire che ringraziava il destino di tre cose: di essere nato uomo e non animale, maschio e non femmina, greco e non barbaro.
                                                                       (Diogene Laerzio, Raccolta, 1, 33)                                  
Atene ha onorato l’arte del parlare (tutti ne provano desiderio, e tutti invidiano chi la possiede), ben sapendo che questo solo, fra tutti gli animali, è per natura nostra particolare prerogativa e che perciò, se siamo superiori in questo, ci distinguiamo da tutti gli altri.
                                                                       (Isocrate, Panegirico, 48)

è la parola che ci ha fornito tutto ciò che abbiamo escogitato. Essa, infatti, ha stabilito ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, ciò che è vello e ciò che è turpe, e se queste cose non fossero state stabilite, noi non saremmo in grado di vivere insieme. Attraverso la parola, disprezziamo i malvagi e lodiamo i buoni. Attraverso la parola, educhiamo gli ignoranti e lodiamo i sapienti: consideriamo, infatti, giustamente il saper parlare come si deve il massimo segno di saggezza, e un discorso veritiero e lecito e giusto è lo specchio di un’anima buona e affidabile.
                                                                       (Id., Antìdosis 254-255)

Devi usare la ricchezza, finché la possiedi, con liberalità, esser d’aiuto a tutti, agevolare quante più persone puoi. Queste azioni sono immortali, e qualora tu incappi in una sorte malvagia, gli altri si comporteranno così con te.
                                                                       (Menando, Misantropo, 805-810)



Cremete: benché fra noi la conoscenza sia recente, da quando hai comprato il campo, qui vicino, non ci sia stata fino ad ora altra occasione di conoscenza più approfondita, tuttavia, vuoi per la tua condotta impeccabile, vuoi perché sei mie vicino, cosa che io considero condizione simile all’amicizia, oso, in tutta amicizia, darti un consiglio: infatti mi sembra che tu ti affaccendi in un modo inadatto alla tua età e oltre il bisogno. In nome degli dèi e degli uomini, che cos’è che cerchi? Hai sessant’anni o forse più, come suppongo: nessuno dei paraggi ha un campo migliore o che valga di più. Hai moltissimi schiavi: e invece, come se non ne avessi nessuno, sei tu a fare con cura i lavori che spetterebbero a loro. Non esco mai così presto al mattino e non ritorno mai tanto tardi alla sera che non ti veda nel campo a zappare o arare o portare qualcosa; insomma, non ti concedi alcun riposo e non hai alcun riguardo verso te stesso. Son sicuro che non lo fai per piacere. Ma tu dirai: «Infatti mi dà fastidio quanto poco si lavori qui». Ma se tu impiegassi a far lavorare loro la fatica che fai a lavorare tu, otterresti un risultato migliore.
Menedemo: Cremete, hai tanto tempo libero da occuparti dei fatti degli altri, in cui non c’entri niente?
Cremete: Sono un uomo, e mi pare che nulla che riguardi l’uomo mi sia estraneo. Considera che questo sia un consiglio, oppure un dubbio: il tuo modo di fare è giusto? Allora voglio fare anch’io così. Non è giusto? Allora voglio distoglierne anche te.
Menedemo: Io ho le mie abitudini: tu fai secondo il tuo bisogno.
Cremete: Ma qual è quell’uomo che ha come abitudine quella di tormentarsi?
Menedemo: Io.
Cremete: Non vorrei, se hai qualche affanno…;ma che male è questo, chiedo? Perché ti consideri degno di un tale castigo?
Menedemo: Ahimè!
Cremete: non piangere, e confidati con me, di qualsiasi cosa si tratti. Non avere scrupoli, non aver timore, fidati di me; ti aiuterò, dandoti sollievo o coi consigli o coi fatti.

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